Una rete in fibra ottica di nuova generazione comune e condivisa oppure uno scontro fra ex monopolista e operatori concorrenti che non avrà mai fine?
Quella, per intenderci, ribadita ancora nei giorni scorsi dall'amministratore delegato Franco Bernabè: «Lo sviluppo delle nuove infrastrutture sull'intero territorio nazionale non può prescindere da forme di condivisione degli investimenti con altri soggetti pubblici e privati, nel rispetto degli orientamenti europei e nazionali in materia di antitrust e aiuti di stato».
Telecom si dichiara aperta a sedersi intorno a un tavolo, a valutare anche la cosiddetta «società della rete», ma a certe condizioni. Che sono quelle – ha più volte ribadito il concetto Bernabè – «di un quadro di regole certe e flessibili, adeguatamente differenziate a livello territoriale in funzione del diverso livello di competizione geografica e che non vadano ad ostacolare il lancio dei nuovi servizi».
In poche parole Telecom lascia intendere di essere disposta a cooperare per portare la fibra ottica su tutto il territorio ma rimane ferma al presupposto che la rete di sua proprietà non si cede (casomai, come avviene da sempre, si affitta), non si espropria e non viene neppure dismessa.
Per muoversi di comune accordo con gli altri operatori telco e affrontare investimenti che nel caso delle Ngn sono notevoli, Telecom "esige" un contesto regolatorio ben definito, a firma dell'Agcom, che soprattutto, non ne penalizzi le opportunità di sviluppo del proprio business.
In caso contrario, come del resto sta avvenendo, camminerà da sola. In attesa di prossimi sviluppi, l'ex incumbent prosegue con i suoi progetti di cablatura del territorio, anche grazie a una serie di accordi con gli enti locali.
Completata infatti la posa della fibra ottica a Roma e Milano per servire 240.000 unità immobiliari, scatterà presto il piano per realizzare reti ad altissima velocità in altre 13 città italiane che collegheranno, entro i prossimi due anni, almeno 1,3 milioni di edifici e successivamente quello per a coprire (sempre in fibra ottica) 1.000 città entro il 2016. Piani ambizioni che trovano, almeno sulla carta, riscontro negli investimenti economici. Nel triennio 2010-2012, Telecom Italia ha confermato che spenderà circa sette miliardi di euro in infrastrutture di rete e Information Technology e per la sola rete fissa (fibra ottica e rame) verranno destinati in totale oltre 2,6 miliardi per migliorare la qualità dell'attuale infrastruttura che abilita i servizi di fonia e di connettività Internet. Numeri che al momento sono però solo delle ipotesi, mentre le cifre che certificano la diffusione della banda larga ultra veloce nel Belpaese sono davanti agli occhi di tutti.
La penetrazione dell'ultrabroadband
A fine 2009, secondo l'Osservatorio Banda Larga, sarebbero stati stesi in Italia oltre nove milioni di Km di fibra ottica per raggiungere una penetrazione dei servizi broadband superiore al 96% dei clienti di rete fissa con vari livelli di copertura (e quindi anche attraverso tradizionali linee Adsl da pochi Megabit, per altro non estese ancora a 850 comuni italiani). Il problema di fondo non è stato però ancora risolto: l'Italia non ha ancora un piano strategico per lo sviluppo della rete ultra veloce e non può attendere oltre, pena il rischio di ulteriore perdita di competitività. Stando al documento presentato di recente dal presidente della commissione Trasporti, Poste e TLC della Camera dei deputati, Mario Valducci, solo il 53% delle famiglie italiane dispone di un collegamento a Internet, contro una media Ue a 27 del 65%, e i collegamenti a banda larga si fermano al 39% delle famiglie, contro il 56% della media europea. Gli italiani del tutto privi di copertura o con problemi di accesso alla Rete sono 2,3 milioni e 23 milioni (il 38% della popolazione) quelli esclusi dalla banda ultra larga, che porta la velocità fino a 100 Megabit al secondo. Stando ai dati raccolti dalla Fiber-to-the-Home Council Europe (l'organizzazione non-profit che riunisce oltre 200 operatori telco al mondo), la soglia di penetrazione della fibra nel nostro Paese resta ancorata all'1%, contro il 50% di famiglie coreane che dispongono di un collegamento ultra veloce per la connessione dell'ultimo miglio. In Europa gli edifici connessi in modalità "fiber to the home" sono nel complesso 25 milioni (Russia compresa) e negli ultimi sei mesi del 2009 i nuovi utenti sono stati 3,5 milioni. L'Italia è sì fra i sette Paesi in cui sono concentrati il 77% degli abbonati ai servizi Internet ad alta velocità europeo ed è, per il momento, sul livello della Francia e davanti a Germania e Francia. Ma va anche rilevato come Svezia, Norvegia, Slovenia e Lituania abbiano già superato il 10% di penetrazione della fibra ottica.
Il nodo degli investimenti e la ricetta di Caio
Serve quindi un'accelerazione simile a quella che sta permettendo, non senza problemi e polemiche, il passaggio a tappe dalla Tv analogica a quella digitale terrestre. Servono, ed è il nervo scoperto della questione, nuovi investimenti perché i circa 1,3 miliardi pubblici stanziati tra il 2004 e il 2009 non sono stati sufficienti, e neppure diversi piani regionali e territoriali anti-digital divide. Una rete in fibra ottica che copra l'intero territorio nazionale costa però dai 10 ai 15 miliardi di euro, di cui almeno il 70% è rappresentato da lavori di posa e opere civili, e Telecom Italia non vuole mettere in campo queste risorse da sola e senza precise garanzie di ritorno dagli investimenti. Investimenti che la Cassa Depositi e Prestiti può pensare di supportare solo se questi potranno portare vantaggi a tutti e non a una singola azienda. La necessità di cooperare a più livelli – fra operatori e operatori, fra operatori ed enti pubblici centrali e locali, fra operatori e privati – è quindi evidente. Il problema è come. La ricetta che rese pubblica Francesco Caio, il super consulente che curò per conto del governo la stesura di un rapporto per individuare le giuste strategie di intervento sulla banda larga, era la seguente: favorire la collaborazione tra gli operatori per lo sviluppo della rete passiva e lasciare intatta la necessaria concorrenza nei servizi. Niente doppia rete fissa di accesso, in sostanza, ma un'unica infrastruttura adeguata a supportare i servizi di nuova generazione perché è sui servizi che si deve misurare la competitività dei diversi operatori. Ma chi, alla fine, deve finanziare le Ngn?
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